al titolo va a raccogliersi ciò che la narrazione comprime, condensa e fagocita. I pensieri e le ansie, l’incomunicabilità e le frustrazioni, i sacrifici vani e il fallimento, diventano le piccole omeomerie che descrivono tre traiettorie esistenziali alle prese con problemi che tolgono sonno e respiro. Al finale ciò che resta è il racconto di un tessuto sociale costantemente “aggredito” e la lieta prova attoriale di una grande artista.
Azucena è una donna contratta, la paura e l’ansia sembrerebbero mangiarsi lentamente il suo essere visto che, fra poche ore, le autorità le porteranno via la casa tramutando la sua vita, e quella della sua famiglia, in un incubo. A pochi isolati di distanza anche l’avvocato Rafa (Luis Tosar) non vive una situazione semplice, visto che deve trovare una sua cliente, una rifugiata, per evitare che la figlia della donna venga affidata definitivamente ai servizi sociali. Infine l’anziana Teodora, anche lei alle prese con un imminente sfratto, cerca inutilmente di mettersi in contatto con il figlio che non sente ormai da troppo tempo.
Il film segue, con un serrato montaggio alternato, le vicende di questi tre personaggi che vivono in un costante registro tensivo in cui il volto, lo sguardo, la voce diventano una denuncia di contro al caos burocratico e alle ingiustizie sociali. Il personaggio di Azucena, interpretato da un’ispirata Penelope Cruz, guida il quadro in un’escalation emotiva che vede la narrazione coprire l’arco di ventiquattro ore.
Non c’è spazio per momenti di riflusso e la m.d.p. punta tutto sui primi piani, sui primissimi piani e la macchina a mano, con i suoni della città, del traffico e degli uffici, che comprino le emozioni dei personaggi. Se Azucena è il riferimento principale, ecco che Rafa, nel rapporto precario con la moglie e con il figliastro Raúl, rappresenta l’incapacità di gestire lo stress causato dal lavoro e dalla società, mentre Teodora, il personaggio più anziano, racchiude le sue emozioni nella depressione di non poter più avere un rapporto con il figlio. La fotografia e la regia puntano sul realismo, non lasciando spiragli per alcun barocchismo, manierismo di sorta.
L’opera del regista argentino Juan Diego Botto, che nel film interpreta il compagno di Azucena, è stata presentata in anteprima a Venezia 79 e ora arriva anche in sala. La denuncia sociale dell’autore è, di fatto, un contenitore ritagliato su misura per la bravura della Cruz, perfetta nei panni di una donna pronta a tutto pur di salvare la propria famiglia. Tuttavia la coralità narrativa esposta, mostra il fianco durante la narrazione sia sul versante della sceneggiatura, con meno spazio riservato ai personaggi di Raúl e Teodora, sia sul piano tematico, con una confusione che mescola diversi, forse troppi, piani di lettura. Un racconto emotivo che avrebbe meritato maggiore rigore.