Tu conti meno di zero. La cosa ti crea problemi, Jordan? – No, nessun problema. Siamo solo all’incipit e il nostro eroe è un semplice collegatore, di fatto smista le chiamate per gli altri broker e non ha alcuna licenza di vendita. Egli non percepisce disagi perché sa di avere talento, sa già che potrà sguazzare nel mondo criminale di Wall Street divenendone leggenda, icona. Non dobbiamo preoccuparci dei dettagli, men che meno di cifre o algoritmi, viceversa è d’obbligo farsi condizionare dalla spettacolare, debordante messinscena e assecondare il culto.
Longa Islands, fine anni Ottanta. Jordan Belfort è diventato, a soli ventisei anni, uno dei più importanti speculatori finanziari del pianeta. Ha creato la Stratton Oakmont, società finanziaria per il collocamento di azioni, e ogni giorno guadagna milioni di dollari. I suoi discepoli sono orde di giovani broker assatanati che attendono i suoi incitamenti per prendere in mano la loro arma, il telefono, e fregare così migliaia di investitori. Completi eleganti da duemila dollari, cravatte di seta, ville mastodontiche, barche lussuose, carte di credito in perenne funzionamento, prostitute da 500 dollari, cocaina e farmaci consumati in quantità industriali, sono l’ornatus di un uomo il cui potere sembrerebbe senza confini. Tuttavia l’FBI lo segue da tempo e attende il momento giusto per interrompere la cerimonia.
All’inizio siamo immediatamente bombardati dallo stile scorsesiano, in salsa Casinò, con Belfort, interpretato da Leonardo Di Caprio, che ci porta dentro gli uffici della Stratton e interagisce con noi raccontandoci il suo mondo. I dettagli, il montaggio formale, i dolly ripetuti diventano la didattica che nevrotizza il quadro mentre entriamo nell’enorme “acquario” peccaminoso, con i broker e la loro indemoniata liturgia. Bisogna sbranare gli investitori, tirare polvere bianca continuamente, fornicare sotto la scrivania, regredire a uno stato animalesco e poi ripartire di nuovo, sfacciatamente. Al vertice c’è Jordan, che durante la narrazione è Lupo famelico, Robin Hood criminale, Tossicodipendente eccitato, Marito infedele, Amante depresso, quasi che le sue maschere dovessero provocare passione e disgusto, fascinazione e repulsione, contemplazione e immersione, nello spettatore.
Tra le maschere la più riuscita, stilizzante al meglio tutta la patologia del personaggio, è quella del Profeta, quando Jordan, ciclicamente, come se stesse su un Golgotha governato da Lucifero, prende in mano il microfono e istruisce i suoi discepoli sulle contrattazioni con violenza verbale e spasmi mostruosi. È qui che Scorsese si stacca dalla biografia del vero Belfort, da cui ha tratto ispirazione, e ci concede un personaggio che non ha alcun interesse a spiegare le sue qualità, presentarci il procedimento, viceversa è soluzione allo stato puro, strappo fisico e psicologico dall’inizio alla fine. Belfort è l’ultimo, grande personaggio carismatico e autodistruttivo di Scorsese, che non vuole però più farci riflettere, non ne ha tempo e voglia, mentre si trastulla nel solleticare i nostri istinti.
Un film da non perdere, con un Di Caprio nuovamente mostruoso, a cui si aggiungono due grandi interpreti, da un lato Johan Hill, perfetto nei panni del braccio destro di Jordan, e dall’altro Matthew McConaughey, che per dieci minuti si prende il palcoscenico instradando Jordan alla Gomorra finanziaria.