Vivere in un mondo vuoto … vivere in un mondo vuoto, questo il concetto principale della bella canzone Games degli Strokes. Il gioco esistenziale, portato alle estreme conseguenze, può condurre l’essere umano a non avere più punti di riferimento in un mondo che corre il doppio, forse il triplo rispetto a noi, come John Anderton della Precrime. Questo nostro mondo ha avuto tuttavia un cantore d’eccezione negli ultimi quattro decenni, un autore che, sfidando anche i suoi forti traumi, ha saputo creare uno storytelling accattivante, una lanterna magica dominante la fruizione.
Il nostro è Steven Spielberg che, in questo agile studio curato dal docente di Storia del Cinema Andrea Minuz, diventa oggetto analitico su differenti terreni. Dotato di una serie di mini-saggi, il testo sviscera alcuni tra i più importanti testi filmici del regista americano di origine ebraica: Jaws, E.T., Jurassic Park, Schindler’s List, Minority Report, Munich e Ready Player One. Sono questi gli strumenti per affrontare un discorso a largo raggio su un autore capace di riscrivere, riconfigurare il mondo produttivo cinematografico e le strategie narrative del medium cinematografico. La prima parte, gestita personalmente da Minuz, affronta appunto le innovazioni sul versante produttivo, di fatto la capacità di Spielberg di rinvigorire la macchina Hollywood nella seconda metà degli anni Settanta, in un periodo in cui gli Stati Uniti, tra Ford e Carter, sembrerebbero perdere terreno come potenza egemone. Il concetto di brand, la capacità di innovare il linguaggio filmico, la necessità si sopperire al tarlo del low budget con intuizioni geniali e l’implosione del vecchio concetto di identificazione mediante un differente entertainment diventano strumentali a comprendere il fenomeno Spielberg. Tutto il saggio, strizzando l’occhio non solo agli studiosi di cinema ma anche ai semplici appassionati, ha il pregio di raccontarci il fenomeno Spielberg utilizzando sia le strategie di analisi del film ma senza appesantire il tutto con derive troppo analitiche o strutturaliste. Grazie a questo atteggiamento possiamo comprendere anche aspetti più nascosti, intimi del regista nato a Cincinnati nel 1946, come il suo rapporto conflittuale con la figura genitoriale, di fatto paterna. In ogni pellicola di Spielberg questo elemento emerge in maniera evidente, la difficoltà dell’adolescente nel superare l’assenza paterna diventa motore emozionale, tensivo in un orizzonte in cui paura e minaccia, stupore e scoperta, superamento del trauma e maturazione diventano il distillato di ogni pellicola. Quest’ultime si fluidificano in più generi, dal fantasy al racconto storico, dallo sci-fi al film d’avventura, con la chiara esposizione di un altro importante elemento del codice spielberghiano: l’ibridazione di genere. Nel corso del saggio, grazie a contributi importanti come quello di Thomas Elseasser su Schindler’s List o l’indagine sullo sguardo di Davide Persico per Jurassic Park, il lettore si trova a scoprire paradossalmente meccanismi narrativi e di identificazione che sono ormai cifra stilistica in tutto il cinema contemporaneo. Da qui l’ulteriore attestazione dello status di Spielberg, di un autore visto, in passato, come un semplice artigiano, sulla scorta dell’esempio hitchcockiano, divenuto oggi la stella polare del circuito cinematografico con pubblico, critica e mondo universitario dalla sua parte.
L’ultima fase del saggio presenta una ricca filmografia in cui il lettore potrà cimentarsi con i credits di tutte le pellicole, da Sugarland Express del 1974 fino a Ready Player One del 2018. C’era bisogno di uno studio simile in questo periodo storico e con questa tipologia di focus? La nostra risposta è affermativa visto che, nel panorama italiano, non si troverebbero approfondimenti analoghi, con un equilibrio mirato tra analisi linguaggio e dispositivi narrativi, riflessione sul reale e presa di coscienza sui nuovi meccanismi del visibile. Un ulteriore attestato quindi sui games di un regista che ha riempito la macchina cinema a trecentosessanta gradi, furbo nel gestire il suo immaginario quanto epico nella sua continua esperienza.