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Velcoro ha bussato energicamente alla porta di casa Semyon. I due vivono un teso faccia a faccia e sembrerebbero aver opinioni molto differenti riguardo all’unica cosa che li legava al passato: il nome di colui che violentò la moglie di Velcoro. Intanto la Bezzarides e Woodrugh trovano una capanna abbandonata al nord con i muri e il pavimento imbrattato di sangue umano. In quelle montagne silenziose si consuma l’ennesima festa a luci rosse tra colletti bianchi potenti e avvenenti squillo: la Bezzarides è pronta a farne parte sotto copertura.
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Alla festa, conclusasi con un’orgia collettiva, la Bezzarides è stata drogata con dell’ecstasy riuscendo però a scappare grazie all’aiuto di Woodrugh e Velcoro. I tre sono nei guai, in pratica risultano essere dei veri e propri fuggitivi visto che hanno scoperto dei documenti importanti che stringono ancora di più le indagini su chi realmente ha fatto fuori Caspere innescando il valzer di crimini. Semyon intanto, sempre grazie ad alcune informazioni di Velcoro, arriva all’atto finale con il suo luogotenente Blake, reo di aver venduto l’anima al magnate russo Osip Agronov.
In questi due episodi quattro sono i momenti cruciali a livello di linguaggio cinematografico, che di fatto entrano in dialettica con la tensione drammaturgica. Avevamo lasciato nel quinto episodio Semyon a letto con la bellissima Jordan mentre fumano uno spinello e ritroviamo il pensieroso boss seduto in vestaglia nell’anonima cucina con gli occhi di Velcoro puntati addosso. Il campo/controcampo è gestito nei minimi dettagli, con una perfetta simmetria data inoltre dalle due tazze da tè che diventano prolungamento di ciò che nascondono i due sotto il tavolino: le rispettive pistole. Da quelle canne non uscirà alcun colpo visto che in True Detective, come già sottolineato in passato, è l’attesa ad essere il lievito tensivo pronto a caratterizzare la parabola dei personaggi. Tanta la fissità di questo momento, tanta l’esplosione emotiva e di stacchi che vive invece Velcoro nella sequenza in cui riprende a bere e si consuma sniffando cocaina. Il detonatore emotivo è la scelta di non fare la guerra all’ex moglie per la custodia di Chad, e vediamo un Colin Farrell di grande qualità nel rappresentare l’autodistruzione di un personaggio che viaggia continuamente tra il bene e il male, tra il passato e il presente, tra un prima e un dopo. Tale percorso viene a sublimarsi verso la fine del sesto episodio, quando Velcoro riuscirà a trovare un briciolo di umanità solo negli occhi e nella carne della Bezzarides. Le indagini vanno avanti, per depistare e riallacciare continuamente le fila dell’intreccio ingarbugliato la scrittura punta sulle fotografie, da qui i quattro poliziotti corrotti divenuti padroni di Vinci e dintorni; da qui i due bambini che hanno assistito, nel 1992, al brutale assassinio dei propri genitori durante la rapina dei diamanti riconducibili a Caspere; da qui le foto delle feste a luci rosse. Tutte omeomerie visive che condizionano i tre protagonisti e che entrano ed escono dall’orizzonte diegetico ostruendo la reale mission di True Detective, di fatto quel valzer estetico, visivo e drammatico che punta tutto sul gioco di sguardi, sulla mimica facciale, sul movimento degli occhi. Parliamo a riguardo degli occhi drogati e in preda ad allucinazioni della Bezzarides che, come Semyon viene a essere risucchiato dai suoi stessi pensieri nel suo letto, è fagocitata esteticamente dalle luci basse, gialle dell’orgia. La macchina da presa si muove furtiva in un mondo che diventa, da un lato estensione simbolica del potere mercificato, dall’altro pulsione tragica della protagonista. I contorni, la cornice viene meno, sembra come sfaldarsi attorno al corpo della Bezzarides; da questo punto la regia innesca dosi di riflusso attivo, con Woodrugh e Velcoro che diventano perimetro attorno all’abitazione segreta, e dosi di riflusso passivo, con le allucinazioni della Bezzarides che fanno emergere un passato in cui qualcuno si approfittò di lei. La musica è commento puro, non riesce a raggiungere una propria dimensione simbolica come nei precedenti episodi ma si adegua nel migliori dei modi a condire ritmicamente la sequenza. Due episodi con molti faccia a faccia, tra veri duri o tra duri e giovani inconsapevoli nati e vissuti in un mondo marcio, come quando vediamo Semyon che parla con il figlio di Stan, un suo soldato freddato nel secondo episodio. Della sorte funesta non ci dorremo, ma ancor più saldi in petto godrem di quel che resta, sono i versi di William Wordsworth ripresi da una splendida Natalie Wood in Splendore nell’erba di Elia Kazan; il “caso” vuole che quelle stesse immagini siano presagio sinistro per la compagna di Woodrugh, nella sequenza finale del sesto episodio che lascerà molti degli appassionati della serie alquanto attoniti, sorpresi e anche, forse, dispiaciuti. Una serie che cresce di livello e che mostra il fianco soltanto per i troppi cavilli condizionanti l’indagine su Caspere. Per il resto l’atmosfera, la progressione drammaturgica, la qualità attoriale e la profondità dei personaggi, anche dei secondari che risultano essere ottime spalle dei protagonisti, rende la visione lieta e particolarmente avvincente.