Nel famoso romanzo “Memorie di Adriano”, la scrittrice francese Marguerite Yourcenar immagina, mediante l’espediente della lettera, la vita di una delle figure più controverse e gloriose dell’epoca imperiale romana. Nella sua confessione, nelle pieghe del ricordo, Adriano ci racconta della sua passione amorosa per il giovinetto Antinoo, quel ragazzo che sconvolgerà lietamente la sua esistenza sin dal primo sguardo. Qui invece il giovinetto è diventato adulto, lo vediamo attraversare varie fasi di una vita sconvolta da quell’attimo che ha devastato per sempre la sua esistenza.
Anni Ottanta: Patrick Melrose è un giovane che viene dalla buona società londinese; aspramente condizionato dalla dipendenza dalle droghe, e che sia eroina, cocaina, acidi piuttosto che alcool non fa differenza, ecco che un giorno si ritrova a dover raggiungere immediatamente New York per recuperare le ceneri del padre defunto. Quest’ultimo, ex militare e musicista di successo, ha condizionato, con il suo egocentrismo, pesantemente la sua famiglia, facendo sprofondare nell’alcolismo la moglie e consegnando alla psiche di Patrick un mondo fatto di paure e insicurezze. C’è un momento chiave che ritorna, come un tarlo, nella mente di Patrick: i giorni di vacanza nella villa in Francia, quando, rimasto solo con il padre, diventa vittima di un crimine inconfessabile.
La miniserie targata Sky, che prende spunto dall’opera letteraria “I Melrose” di Edward St. Aubyn, ha il suo focus sull’intera vita di Patrick e gestisce il suo storytelling attraverso decisi, forti passaggi temporali tra i vari episodi. Il filo rosso è il trauma che subisce in tenera età il protagonista, di fatto un personaggio dalle mille sfaccettature. A differenza del superomismo umanista tipico delle serie americane, con personaggi intelligenti e disincantati pronti a mantenere lo status quo, qui la scrittura ci consegna un uomo totalmente in balìa del suo passato, che non vuole salvare nulla ma che intensifica sempre di più le proprie percezioni negative mediante il ricordo. In quest’ultimo entrano le relazioni familiari, in completa e costante autodistruzione, le descrizioni dell’alta società inglese, bigotta e stantia, l’impossibilità a dover gestire i fantasmi della mente, il rapporto con la morte. Anche la messinscena diventa ovviamente strumentale al progetto narrativo, con un cromatismo freddo, asciutto nelle fasi in cui Patrick si concede “liberamente” alle sue dipendenze e con i toni caldi, elaborati delle sequenze dell’estate francese e di quella villa che compenetra, determina, con costanza, i sentimenti dei personaggi. La regia adotta una continuità lineare sul personaggio di Patrick, con movimenti di macchina che curano la perfetta dialettica tra parsimonia espressiva e conoscenza profonda degli stati d’animo del personaggio.
Siamo ai giorni nostri, i Melrose, Patrick Melrose sono riferimenti in campo di ciò che le nostre vite propongono: dispiaceri, cadute, discese, traumi e spettri. C’è però in questa serie un attacco tematico deciso raccontato con stile e capacità di scrittura, evitando la retorica e dotando l’eroe principale di un’arroganza intellettuale, tipicamente british, che diventa vettore carismatico per lo spettatore. Una serie godibile e sincera, come lo era il rapporto tra Adriano e Antinoo, ma lì erano altri tempi.