C’eravamo lasciati con una piazza Duomo deserta e quel Sarà uno splendido 1993 di Leonardo Notte a Bibi. Un momento di passaggio per l’Italia, di fatto la fine di un anno in cui scoppia il cortocircuito tra giustizia, potere politico e imprenditoria con l’indagine di “Mani Pulite”, muscolo principale di Tangentopoli. Se in 1992, la narrazione aveva la necessità di presentare principalmente i protagonisti puntando molto sullo sviluppo organico della varie conflittualità tra essi, in questa nuova stagione aumenta sensibilmente la conflittualità in “volume” tra aggregazioni, orizzonti e gruppi sociali. I protagonisti vivono più di sfumature, viceversa ciò che accade e il cammino storico italiano travolgono lietamente il ritmo seriale.
1993, la nuova stagione della fortunata serie targata Sky, ha un tempo diegetico ben preciso. Si parte dalla sera del 30 aprile, quando Bettino Craxi viene raggiunto, all’uscita dell’Hotel Raphael a Roma, da un fitto lancio di monetine da una folla inferocita e si arriva spediti alla sera in cui Silvio Berlusconi carena il suo disegno politico presentando Forza Italia ai suoi collaboratori, scelti minuziosamente dopo accurati provini televisivi. L’intreccio è coordinato dai protagonisti classici della serie: il pubblicitario Notte, il leghista Bosco, il poliziotto Pastore, la soubrette Veronica Castello e l’imprenditrice Bibi. Notte è, senza alcun dubbio, il personaggio maggiormente scritto, colui che si posiziona al centro della serie coordinando le varie articolazioni. È lui che diventa metafora del topic seriale, di fatto il cortocircuito tra poteri dello Stato e rivoluzione sociale, ed è sempre lui a sviluppare il tutto mediante vari focus, dal suo passato oscuro, che qui riviviamo in ciclici flashback in bianco e nero, al suo legame con Silvio Berlusconi passando per lo scontro con il personaggio dello scrittore e intellettuale Alberto Muratori, simbolo di un PDS tronfio e colluso che di lì a poco perderà clamorosamente le elezioni. Bosco mette via la summa shakespeariana della prima stagione, sciorinata con la Castello, e si colora di elementi pirandelliani, in una Lega nord che inizia a flirtare con il potere dei salotti romani tra aristocrazia papalina, transessuali e cappi sventolati in Parlamento. La sua violenza animalesca e spaesata lascia il posto lentamente al ragionamento politico, caratterizzato da un’intenzionalità cinica che legittima l’ingresso della Lega nel sistema. Pastore, in questo grande affresco corale, continua a rappresentare la giustizia in perfetta dialettica con il personaggio di Di Pietro. Le sue inchieste, che fanno comprendere allo spettatore come Mani Pulite sia solo un versante di un’enorme macchina giudiziaria messasi in moto, vivono un arco narrativo legato alla prima stagione: la malattia, l’ossessione, la fissazione. Veronica Castello sublima speranze e limiti della sensibilità umana, immersa com’è in un sistema dello spettacolo; colei che prova schifo in primis per se stessa, sarà la più coinvolta nel grande gioco mediale della Repubblica delle Banane. Il suo corpo e le sue ossessioni rimbalzeranno tra Bagaglino, videotape, possibili progetti editoriali, ricatti, fino all’imminente consacrazione politica, sotto la stella polare del Biscione. Infine Bibi, il personaggio meno sviluppato che reitera, senza slanci innovativi, le premesse e le coordinate apparecchiate nella prima stagione.
La macchina da presa di Giuseppe Gagliardi, in questo nuovo passaggio, si è fatta più matura, e si muove in spazi già conosciuti e spazi nuovi, come il carcere di San Vittore dove Notte e Sergio Cusani, l’architetto della tangente Enimont, stringono amicizia. I primi due episodi hanno un ritmo incessante, investono lo spettatore con il montaggio serrato lasciando poi campo a passaggi meno repentini. La fotografia, cupa e noir soprattutto con Notte e Pastore, si fa onirica e lynchana in alcuni momenti, quando i protagonisti escono dal loro presente e, quasi in preda a deliri, fanno emergere la loro cifra antieroica. I carrelli e la macchina fissa coordinano la serializzazione in gioco con gli innumerevoli campi e controcampi e il ralenti in chiave epica. Una serie di qualità che vuole presentare un tema fondamentale, appunto gli anni del cortocircuito e che non prende, giustamente, una posizione netta ma affida alle sfumature, al documento storico, all’immaginario le carte da presentare allo spettatore