Chi ti salverà? … la Grazia. Una bicicletta, il rumore della notte e un altare dove poter volgere lo sguardo alla croce. La storia è racchiusa nei volti e nei gesti dei soggetti mentre le parole sono misurate e ciò che conta sono le azioni. Un incontro diventa la chiave per vivere in equilibrio, mettendo da un lato il bene e dall’altro lato il male.
Siamo in Francia, anche se non conosciamo precisamente il luogo che non ci viene mai dichiarato in forma esplicita. Un’orfana è stata cresciuta, da quando era piccola, da un parroco e il suo microcosmo spirituale è fatto di una fede granitica nella figura del Cristo, l’aiuto ai senzatetto e un candore misto ad ingenuità. Un giorno, in chiesa, si imbatte in Andriy, un ragazzo di strada braccato da due poliziotti corrotti. L’incontro porterà Joy a scoprire l’amore ma, come effetto collaterale, le si spalancheranno le porte della criminalità organizzata.
Il film vive su un livello narrativo granitico gestito dall’incontro della ragazza con il ragazzo. Lunghi silenzi e campi medi accompagnano i due significanti principali a livello di spazio, di fatto la chiesa, che metaforizza la fede religiosa, e l’hangar, dove la protagonista incontra, tramite l’innamorato, la “Madre”, la boss interpretata da Asia Argento. I due mondi non vivono di un passaggio ma di una vera e propria fusione, rappresentata dalle vie della città e dalla bicicletta utilizzata da Joy, sia che si tratti di portare del cibo ai poveri sia che si tratti di portare la droga. La fotografia alterna i chiaroscuri, con i volti illuminati che giocano con gli spazi chiusi, e con le vie deserte della città immerse nel buio.
L’opera della regista Camille Lugan, girata interamente a Le Havre, nel nord della Francia, tratta un tema che, nonostante sia di per sé non originale, di fatto l’eterna rivalità tra bene e male, riesce a “raccontarsi” in maniera accattivante. La regista propone una terza via per il destino della sua protagonista, una sorta di equilibrio in cui non c’è giudizio ma semplicemente racconto mediante lo sguardo e le emozioni in campo. Il film presenta tuttavia un paio di criticità a livello di sceneggiatura: i cambiamenti della protagonista restano in superficie e sembrerebbe che la regista abbia avuto timore nel concedere maggiori strumenti allo spettatore per conoscere la “fusione” spirituale. Infine l’ultima parte del film, dove vanno a trovare rifugio gli archi narrativi dei personaggi, subisce una repentina accelerazione mettendo troppa carne al fuoco.