La competizione non è tra di noi ma tra gli uomini e la montagna peccato solo che la nostra se ne sta lì silenziosa ruggendo ogni tanto mentre il gruppo di protagonisti via via prende la deriva, con poca e precaria profondità. In alcuni momenti sale la tensione, ci si emoziona ma resta poco al calar delle luci.
30 marzo 1996. La Adventure Consultants , gestita dallo scalatore Rob Hall, organizza una spedizione sull’ Everest con una decina di professionisti tra cui il giornalista Jon Krakauer . Arrivati in Nepal, il gruppo inizia un training di un mese per affrontare la scalata prevista per il 10 maggio. La conquista della vetta però non sarà una sfida solo per loro, di fatto al campo base ci sono altre tre gruppi pronti a osservare la bellezza del mondo dal punto più alto.
Lo schema è quello dei tre atti, con una preparazione iniziale appannaggio del training, la scalata e la rovina, condita quest’ultima dal climax. Nella prima parte conosciamo i personaggi, capiamo il loro legame con chi è rimasto a casa mentre l’ambiente che li circonda, Katmandu, si tinge di colori vivi. La seconda parte si manifesta con il verde e con il grigio ghiaccio, con i nostri che iniziano la sfida e sembrerebbero essere in competizione per lucrare sull’impresa. Infine la montagna, silenziosa e discreta, li prende ovviamente in contropiede e l’unione diventa il valore simbolico mentre la fotografia si tinge di bianco. La regia è classica, indugia sui corpi equipaggiati e sulla forza del gesto, da qui le continue mascherine per l’ossigeno che scoprono e coprono i volti, quest’ultimi risucchiati completamente dalla tempesta e dalla notte. Il 3D non riesce a emozionare; infine gli inneschi drammaturgici con chi è rimasto in America ad attendere al telefono non crescono ma vivono una passiva orizzontalità.
Gli americani ci hanno sempre abituato a una grande e forte capacità di racconto, ed è così anche in questo caso, con il vantaggio che la storia in questione è tratta da una storia vera e rivive in almeno sette opere letterarie. Il problema sta nella verticalità, con i personaggi che non superano l’azione per farsi emozione e debbono essere sistematicamente sostenuti dalla spettacolarità, epicità. Un film incompleto e incompiuto.