La Casa

La Casa

La genesi di questo film parte da molto lontano, precisamente dal 1981, quando, un giovanissimo Sam Raimi riuscì, con i soldi del premio di un concorso per cortometraggi, a prodursi La Casa (titolo originale Devil Dead). Sfruttando un genere frammentato e da sempre insofferente a definizioni troppo chiare, Raimi riconfigurò l’horror con la tecnica slapstick e tessuti farseschi. Un cult per milioni di giovani e un marchio brillante, dinamico per la trilogia materializzatasi tra gli anni Ottanta e Novanta. Ora siamo al quarto capitolo, anche se la storia raccontata ha assunto una pelle diversa, un altro punto di vista.

Un cottage degli anni Venti immerso nel bosco viene rispolverato da cinque ventenni pronti a lavorare per una giusta causa: salvare la dolce Mia dalla tossicodipendenza. Ad aiutarla ci sono il fratello di lei, David, la ragazza di quest’ultimo, Natalie, e due cari amici: la bella Olivia e il nerd Eric. Proprio quest’ultimo raggiunge la cantina e, incautamente, apre un libro ricoperto in pelle umana e rivestito con filo spinato risvegliando un demone medievale. La prima vittima sarà Mia, che condurrà nella distopia tutti gli altri, fino alla resa dei conti finale sotto una pioggia di sangue.

La regia di questo nuovo capitolo è affidata al talentuoso regista uruguaiano Fede Alvarez, che spopola su youtube con il cortometraggio del 2010 Panic Attack. Scelto dallo stesso Raimi, produttore del film, Alvarez dona anche in questo caso una visualità notevole, d’avanguardia basandosi certamente sul cult del 1981, ma allo stesso tempo distanziandosene con precise scelte tematiche e di linguaggio. Di classico resta la forza del genere, intesa come passaggio dal mondo reale al mondo irreale, manipolazione dello spettatore mediante sequenze di terrore frammentate e impatto visivo del trucco prostetico. Ma questa volta al nuovo punto di vista caratterizzato da un’estetica ultramoderna, si affianca l’originalità della back stories dei personaggi, con i traumi che conducono i cinque in quel posto e con quelle determinate modalità. La tossicodipendenza di Mia diventa metafora di un percorso da fare a tutti i costi e dona profondità a tutti gli altri personaggi, instaurando una forte connessione tra spettatori e protagonisti in quadro.

L’“allievo” Alvarez sembra essersi affiancato al maestro Raimi, con braccia e gambe che vengono mozzate e vanno in decomposizione, schizzi di sangue, gatti morti appesi al soffitto, paludi infette di liquami, iconografie medievali, chiodi che si conficcano nella pelle con pistole automatiche e tanto altro. Un film bello e di spessore, e con degli attori bravi e credibili. Girato interamente a Auckland, in Nuova Zelanda, La casa potrebbe mettere d’accordo sia gli amanti del genere, sia gli aficionados di Raimi, che lo spettatore occasionale.

 

 

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