Guarda allo specchio, cosa vedi? Cosa vedi? – Una bellissima ragazza – Grazie. Accanto a lei, cosa vedi? – Non lo so – Bene, stai facendo progressi … La m.d.p. lentamente compie un giro di quasi 180 gradi e si pone davanti ai due protagonisti mentre una musica comincia a mordere allo stomaco. Lei bionda, androgina, bella e algida, lui basso, scuro, disordinato e impaurito: il primo piano organizza il gioco e l’illusione da cui siamo rapiti. Non importa conoscere le loro storie quanto comprendere come questa sequenza, tratta dal film Angel-A di Luc Besson, possa donare i primi frammenti esistenziali di Daphne Scoccia, volto nuovo del cinema italiano d’autore e fresca di nomina, come Migliore Attrice, ai David di Donatello per l’opera Fiore di Claudio Giovannesi. Come i due protagonisti di Besson, immersi in una fotografia in bianco e nero, in quel preciso istante condensano la grammatica dell’essere umano, dall’amore alla dolcezza, dal comprendere i propri desideri alla solitudine, dalla paura di non essere all’altezza al gioco dell’immagine che inganna, così la Scoccia pone i suoi occhi sul mondo, emozionandosi e cercando continuamente di crescere tramite risposte, più per l’anima che per un preciso risultato pratico. Marchigiana, giovanissima, volto che buca lo schermo e occhi profondi, la Scoccia ha iniziato la sua carriera in un film che ha avuto e sta avendo un percorso virtuoso, quel Fiore in cui la grande capacità di linguaggio della m.d.p. di Giovannesi esalta il suo volto, le sue linee e il suo cammino in quadro. Un film in cui è possibile scoprire un altro giovane talento, quel Josh Algeri, tragicamente scomparso per un incidente stradale poche settimane fa, divenuto simbolo di una generazione che, seppur tra mille difficoltà, ha la capacità di esprimersi, riscattarsi ed emergere. L’abbiamo incontrata a Roma per chiacchierare con lei di cinema e non solo.
Ti chiedo per prima cosa come hai vissuto il prima e il dopo della cerimonia dei David di Donatello.
Partirei con l’ansia e con la depressione (sorride). I giorni prima non ti nascondo che ero un po’ in ansia, non tanto per l’eventuale vittoria, piuttosto per l’ambiente con cui mi sarei dovuta interfacciare; sapevo che mi sarei sentita un pesce fuor d’acqua. Il giorno stesso, sin dalla mattina, mi guardavo intorno, avevo uno sguardo in alcuni momenti assente visto che non riuscivo a filtrare la forma, l’involucro tipico di una manifestazione come quella. Anche alla sera mi sentivo un po’ a disagio, poi però ho iniziato a conoscere persone, a parlare con i grandi protagonisti del nostro cinema, che hanno apprezzato il mio lavoro: tutto ciò mi ha lusingata. Il dopo mi ha mosso alcune domande, mi ha lasciato un senso di vuoto. Ripeto sono rimasta un po’ scossa dalla grande formalità e dalle apparenze, che non hanno ovviamente una connessione con l’idea buona di cinema.
Quali sono le sequenze cinematografiche a cui sei più legata?
Sono molto affezionata al cinema francese, che riesce spesso a divenire metafora della vita umana con un linguaggio mai lineare, con passaggi mediati e tempi morti. La vita non è un “tutto e subito” e i francesi riescono a descrivere bene determinati stati d’animo presenti nel nostro quotidiano. Amo la sequenza dello specchio di Angel-A di Luc Besson, in cui ci sono passaggi che rimandano alla mia vita, che mi fanno scattare un principio d’identificazione. Amo il Pianeta Verde di Coline Serreau, un film che mi fa capire come le persone ormai siano completamente scollegate a livello umano. Infine, se parliamo di cinema italiano, il primo film che ti cito è 8½ di Fellini.
Prendendo spunto da Fiore: se dovessi creare un laboratorio in un carcere minorile cosa struttureresti?
Mi piacerebbe fare tante cose. Forse farei un laboratorio sull’empatia, con delle lezioni sul modo di entrare in contatto con le persone attraverso la meditazione, il contatto con la natura e la conoscenza del cibo. Andiamo tutti troppo di fretta, murati dai cellulari, non ci fermiamo un minuto e quindi farei un laboratorio che offrisse gli strumenti per mettere da parte il nostro ego, quella vocina che troppo spesso ci blocca e ci condiziona .
In Fiore instauri con lo spettatore una dialettica anche attraverso il corpo. Il tuo rapporto con esso?
Sono stata da poco a una conferenza sulla PNL (Programmazione Neuro Linguistica) e ho lietamente scoperto che il 97% del nostro linguaggio comunicativo è di fatto non verbale, viceversa viene gestito e portato avanti dal corpo. È fondamentale usare il corpo come forma di linguaggio; in passato io non sono stata in grado di farlo, mi sono costruita una corazza e l’ho lasciato andare. Ora le cose vanno meglio ma è un percorso ancora lungo.
Come il cinema, le immagini in movimento condizionano la tua giornata?
Sono sempre stata attratta dal mondo del cinema. Mio padre scaricava film a casa e io mi mettevo lì a scorrere e trovare titoli. Andavo su internet in cerca di messaggi, “verità”; infatti amo molto i documentari come Zeitgeist, Lo Sfidante, Earthlings. Il cinema mi condiziona sempre, ora sono passata davanti ad una sala e ho visto la locandina di Mal di Pietre, film che voglio vedere assolutamente mentre l’ultima pellicola in programmazione che ho visto è Ghost in The Shell, che mi ha deluso in confronto alle anime, che io adoro.
Come Roma, la città in cui vivi, arricchisce o narcotizza il tuo sguardo sulle cose?
Io vengo da San Benedetto del Tronto, un piccolo centro che si anima d’estate ma che poi, durante la mia adolescenza, mi stava lentamente soffocando. Vivo da poco tempo a Roma, la sento ancora come un grande luna park, ma mi piace sempre di più; è una città tutta da scoprire, è una città che al mattino, con le luci rossastre che sbattono sui monumenti, ti concede attimi di grande emozione. E poi c’è la notte, quando diventa magica: mi piace molto girare Roma di notte.
Cosa ti colpisce del set cinematografico?
Il film lo fa la troupe, dalla costumista al montatore delle luci, dal fonico alla segretaria di edizione, poi ci siamo noi attori che terminiamo il tutto presentandoci nell’immagine. Io con Fiore sono stata molto fortunata, sul set si è creata, con Claudio e gli altri, una grande energia, siamo diventati come una famiglia. Io ancora adesso esco con persone conosciute su quel set. L’aspetto negativo è che quando finiscono le riprese ti assale un senso di vuoto, tutto ciò di cui ti eri nutrita sparisce e ti ritrovi con niente. Questo può farti soffrire.
Che libro stai leggendo?
Un saggio di psicologia: “Troppo intelligenti per essere felici” di Jean Siaud Facchin. Sono all’inizio però molto spesso parto con un libro e poi contemporaneamente ne leggo altri. Sono molto appassionata della visione del mondo e della psicologia di Igor Sibaldi; credo fermamente che ogni essere umano possa avere un grande potere interiore e riuscire a soddisfare ogni suo desiderio se solo riuscisse a mettere da parte il contesto frenetico in cui si muove dando fiducia a segnali, coincidenze. Prima di Fiore cercavo un punto di svolta nella mia vita e un giorno ho trovato, buttato per strada, “Il lavoro dell’attore su se stesso” di Stanislavskij; bisogna credere nelle cose perché poi i cambiamenti arrivano: senza diventare nevrotici però (sorride).
In cosa sei virulenta?
Lo sono verso me stessa; mi creo spesso una zona eccessiva di comfort che non mi fa esprimere. La virulenza è sottile, poco percepibile e può creare angoscia. Vorrei tirare fuori tante cose, ma rimango spesso nel mio angoletto.
Puoi indicarmi un personaggio femminile storico che non sopporti?
Non ho mai stimato Madre Teresa di Calcutta: troppo business woman. Aveva alle sue spalle una grande azienda che gestiva, secondo me, pensando troppo al guadagno. Da una certa angolazione lei ha rappresentato la reale missione, come sistema di potere, della Chiesa cattolica, che non ha nulla a che vedere con il messaggio messianico cristologico.
Come ti immagini il nostro cinema tra un secolo?
A questa domanda sinceramente non so darti una risposta concreta. O arriva una rivoluzione sociale che spazza via lo status quo e ci conduce a qualcosa di originario, oppure assisteremo a una maggiore fusione tra cinema e televisione con commediole senza spessore, talent show e un abbassamento ulteriore di contenuti e spessore.
I tuoi progetti futuri?
In questo momento sto facendo molti provini e incrocio le dita. Mi piacerebbe non dire si a tutto, quindi non scendere a compromessi. Se dovrò fare qualche marchetta amen, ma non sarà quello il mio obiettivo. Sono stata fortunata a iniziare con il cinema autoriale e vorrei continuare su questa strada, con un’arte che fa riflettere, crescere.