Io sono un filo d’erba
Un filo d’erba che trema
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
Il mio seme lontano.
I componimenti del poeta Rocco Scotellaro saranno fonte di ispirazione per molti passaggi stilistici di Luchino Visconti, non a caso il protagonista interpretato da Alain Delon porterà, in segno di omaggio, il nome del poeta. Nella poesia di Scotellaro emergono i tratti, gli spigoli emotivi del profondo Sud di metà Novecento, di un mondo contadino in cui i legami familiari sono avvinghiati a un concetto forte di unità di sangue e pulsano sofferenza, senso di colpa, amore viscerale nella continua lotta alla morte, al senso di morte. Molti di questi elementi saranno trasferiti in Rocco e i suoi Fratelli, un’opera stratificata in cui è costante la volontà dell’aristocratico e mitteleuropeo Visconti di impastare la larghezza della tradizione letteraria del romanzo ottocentesco con le spinte, ideologiche ed economiche, di un’Italia al guado tra ricostruzione e boom economico.
La famiglia Parondi è una famiglia lucana. Il pater è morto e la conduzione familiare è gestita dalla mater Rosaria, autoritaria e legatissima ai suoi cinque figli maschi. La famiglia emigra nella livida e industrializzata Milano, dove raggiunge il primogenito Vincenzo, che si è sistemato con un lavoro e una graziosa fidanzata. Rosaria ama tutti i suoi figli, ma sembrerebbe avere una predilezione per Simone, forte e bello come il sole. Simone, rispetto al timido e impacciato Rocco, è sorridente, istintivo, curioso e ben presto inizia a muoversi negli ambienti della boxe milanese, riuscendo a ottenere i primi successi. Si innamora della ragazza di vita Nadia e sviluppa un rapporto particolare con il suo manager omosessuale. Il tempo passa e Rocco rientra dal servizio militare. Al suo rientro a Milano scopre che molte cose sono cambiate, in primis i suoi sentimenti verso Nadia. I due ragazzi si innamorano e sembrerebbero lanciati verso un destino di luce. Simone viene a sapere della relazione e, sentendosi calpestato nell’onore, violenta Nadia davanti agli occhi di Rocco. Quest’ultimo, fagocitato dal senso di colpa, lascia andare Nadia tra le braccia di Simone, ormai ripudiato da tutti e divenuto un fantasma di se stesso. Per non far passare ulteriori guai a Simone, Rocco è costretto a iniziare la carriera di pugile mentre Nadia, ormai prostituta all’Idroscalo, dimostra un ultimo anelito di vita sputando in faccia a Simone tutto il suo odio e il suo rifiuto, che le costeranno la vita. Rocco, appresa la tragica notizia tra le braccia del fratello e in preda alla disperazione, tenterà di salvare ancora Simone contro il parere di tutti, in primis di Ciro. Simone tuttavia verrà arrestato e il nucleo familiare andrà completamente a sfaldarsi. Forse solo il piccolo Luca potrà tornare un giorno nella bella e lontana Lucania.
Visconti mappa la narrazione mediante cinque capitoli che rimandano ai fratelli, su base cronologica. Questo dato fa emergere la natura genealogica dell’opera, che tradisce il gusto intellettuale del regista verso l’Antico Testamento. Il tema dell’emigrazione interna, di natura ideologica e cronachistica, è un primo motore che va tuttavia a scontrarsi con i caratteri dei personaggi, inizialmente legati al tema del matriarcato e della solidarietà fraterna. Il matriarcato abbraccerà e poi condannerà il primo gioiello, Simone, viceversa la solidarietà fraterna sarà il senso di colpa che devasterà l’esistenza di Rocco. La fotografia è in bianco e nero, con una Milano che potrebbe diventare un vero e proprio documento storico di quegli anni, dall’Idroscalo alla stazione, da Lambrate al Giambellino. Milano in questo film è minacciosa, cupa, in continua dialettica tra ambienti stretti e larghi spazi, dove si sviluppano principalmente le traiettorie di Simone e Rocco. La boxe, i pugni dati e presi, sono un ulteriore registro simbolico che Visconti inserisce nella stratificazione e serve, in maniera strumentale, a creare il registro melodrammatico, il derma generale di tutta l’opera. Da sempre ossessionato dal suo stare al mondo, Visconti ha continuamente riflettuto sulla condizione esistenziale, partendo dal suo essere aristocratico in un mondo nuovo, in cui i vecchi modelli ottocenteschi sono inesorabilmente franati. Questo ha condotto a quel senso di morte, di nostalgia del passato che qui procede mano nella mano con vari elementi della tradizione letteraria. C’è la nostalgia e il senso di colpa di Scotellaro incarnati da Rocco; c’è l’inettitudine e il mondo piccolo-borghese di Ciro e Vincenzo tanto cari a Svevo; c’è la paura e l’orgoglio ferito di Simone che riportano ai personaggi di Dostoevsky. Le figure femminili, che risentono ovviamente del periodo antecedente alle lotte di genere, affermano il loro ruolo prendendo linfa dal mito e dal melodramma. Rosaria ci riporta indietro ai riti atavici, ad un passato fatto di liturgie, regole, condizionamenti che non appartengono più all’Italia del secondo Novecento. Gli occhi della mater, la mimica facciale, vengono impostati sul modello della tragedia greca viceversa Nadia è spinta dalla cultura ottocentesca, di fatto morirà come Carmen, trafitta da un coltello nel costato, e vivrà di contrasti assoluti, di elettrocardiogrammi emotivi, come Tosca.
Il cinema, soprattutto nel Novecento, è riuscito a proporre una forte mediazione tra le arti del passato e le nuove tecnologie, il nuovo mondo. Rocco e i suoi Fratelli, su questa scia, è cinema allo stato puro: un’opera complessa, larga, non priva di difetti o di elementi che hanno perso di valore, tuttavia capace di raccontare allo spettatore un mondo, proponendo storia e riuscendo, camaleonticamente, a sfidare la fruizione con vari livelli di riflessione. Un film dunque mai passivo, che corre nelle vene della cultura italiana.