Difficile pensare a questo sport senza tuffarsi nelle immagini in bianco e nero, ritrovando il sudore della palestra in quei volti che trasudano sforzo fisico e mentale. Qui il campo è doppiamente circoscritto e abbraccia la città di Roma e i suoi interpreti; il racconto sfrutta elementi classici di genere ma si sostiene con un’originalità che si radica, si testimonia nel suo stile asciutto, autentico.
Da sempre la boxe ha affascinato le immagini in movimento, divenendo vero contenitore d’immaginario per il cinema hollywoodiano, basti pensare a figure come Rocky o semplicemente alle infatuazioni, per questo sport, di Martin Scorsese o Michael Mann. Il pugile, solitario e nervoso, diventa simbolo esistenziale, con i suoi fasci di muscoli che si muovono sul ring, le gocce di sudore versate durante gli allenamenti, la paura e l’ansia prima di affrontare l’avversario.
Lo storytelling ci immerge nella tradizione pugilistica romana e il primo dato informativo viene offerto dalla mole enorme di Primo Carnera, da quell’incontro del 22 ottobre del 1933 in cui il gigante di Sequals conquistò il titolo europeo davanti a sessantamila persone nelle viscere di Villa Borghese, di fatto a Piazza Siena. Da qui in avanti il linguaggio del documentario vive di lunghe interviste, in montaggio alternato, con i protagonisti del pugilato romano, che ci raccontano, raccontandosi, di uno sport particolare, ancor di più se fatto, vissuto a Roma. Pugili del passato e del presente si alternano davanti alla m.d.p., fanno emergere, a mò di epifania, la loro visione della boxe con la regia che li segue passo dopo passo nella loro giornata tipo. Quest’ultima, e qui è chiara la visione rigorosa, asciutta del regista Roberto Palma, è caratterizzata esclusivamente dalla boxe, da allenamenti, ricordi, malinconie, situazioni che non escono dal “ring”, viceversa restano aggrappati tra le “corde”. A legare le varie interviste c’è un filo rosso, la storia di un pugile che sta per affrontare il suo primo incontro da professionista.
Il grande merito del documentario sta nel presentare una piccola finestra sul mondo del pugilato romano, un’isola in cui gli atleti, anche i più talentuosi e riconosciuti a livello internazionale come Giovanni De Carolis o Daniele Petrucci detto “Bucetto”, sono lontani da quel mondo ideale dello sportivo moderno, quest’ultimo sempre più colluso con la ricchezza economica e con la patina virtuale. Il sudore della palestra, la battuta ironica tipicamente romana, i sacrifici, le sofferenze e i demoni da sconfiggere, in questo caso ci raccontano di uno sport che ha vissuto i suoi tempi migliori nel passato e, nel prendere coscienza di ciò, non vuole retrocedere viceversa si ostina a incassare e a reagire. Un lavoro interessante che diventa, senza essere tendenziosi nel valutarlo, anche uno spot per un movimento che soffre maledettamente i tempi moderni.