Sin dai tempi di Terenzio, il concetto di “figura”, mutuato poi dal medioevo dantesco, ha inciso fortemente sul rapporto dell’essere umano con il dato culturale. La “figura”, simile quanto diversa dall’”allegoria”, si relazione con il prossimo e lo significa, si fa riconoscere legando fenomeno storico e fenomeno simbolico, si allarga divenendo significante e significato. Qui essa, in continuo gioco tra palcoscenico e vita reale, si mostra “divina” e le immagini in quadro, tra fotografia e super8, certificano lo status iconico.
Anni Settanta. La Divina, Maria Callas, racconta la sua vita a un attento giornalista, immersa in uno studio televisivo e illuminata da una ripresa in bianco e nero esaltante il suo volto sindonico e i suoi grandi occhi espressivi. In questo viaggio della memoria, caratterizzato da un montaggio che alterna riprese video amatoriali, fotografie inedite, lettere e materiale d’archivio, scopriamo i vari passaggi dell’artista capace di riconfigurare e arricchire, in chiave novecentesca, la potenza del belcanto italiano. Dall’infanzia newyorchese allo studio costante e ambizioso con l’insegnante Elvira de Hidalgo, dall’unica lettera d’amore scritta a Onassis ai grandi successi nei maggiori teatri del mondo, dalle performance commoventi ai suoi rapporti con i più grandi intellettuali della sua epoca, dal rapporto con il marito Meneghini alla depressione, ecco che lo spettatore è investito dalla “figura”, in cui il confine tra la reale Maria e la simbolica Callas non lascia impronte, si confonde e significa.
Il documentario, ricco di omeomerie storiche, alterna sapientemente il racconto per immagini, con la voce fuori campo che diventa flusso di coscienza della protagonista, alle performance canore, in cui l’arte della Callas, di fatto una perfetta armonia tra capacità canore e talento interpretativo, esplode in tutta la sua potenza. Giocando e investendo sulla doppia vita della Callas, il regista Tom Wolf procede per contrapposizioni tematiche, visive e analitiche. Da un lato l’artista ambiziosa e padrona della scena, dall’altro lato una donna in continua ricerca della “normalità”; da un lato le riprese amatoriali intime e vivaci, dall’altro le interviste in perfetto stile star system; da un lato le trasformazioni del suo corpo e dall’altro la costante, ciclica incapacità a trovare un equilibrio esistenziale. Su questa tela poi vanno a inserirsi i grandi colori che da sempre hanno reso la Callas una “figura” costante nella nostra cultura, di fatto le melodie di Donizetti, Bellini, Verdi, Rossini e via discorrendo.
L’operazione di Wolf non punta su originali, particolari scelte di linguaggio viceversa si mostra come documento storico caratterizzato da innumerevoli, interessanti e coinvolgenti contenuti visivi. Il tutto non porta a conoscere le reali vicissitudini di Maria quanto a riscontrare la perfetta, studiata e geniale costruzione del personaggio Callas. Che in questa costruzione alberghi un talento unico è infine determinante per condurci a quella “figura” che parte dalla storia per radicarsi in uno spazio simbolico agile ed emozionante.