Che Spielberg sia tra i maggiori narratori per immagini in movimento, un regista con visione e rigore, con epos e drammaturgia, è cosa risaputa; in questo caso “incontra” la penna del best-seller Ernest Cline, uno scrittore formatosi con i suoi film, con quella linearità causa-effetto che pulsa entertainment. La sorte particolare dell’uomo resta il topic centrale, in un mondo interamente ricostruito in digitale che già si prenota, tenendo fede alla tradizione, a divenire documento storico.
Columbus, Ohio. Siamo nel 2045 e il protagonista, il giovane Wade Watts, vive in una roulotte nel sobborgo minaccioso della città (una sorta di favelas liquida post – villaggio globale) con la zia, visto che ha perso entrambi i genitori da piccolo. Schivo e nerd nella vita reale, di fatto Wade si sente forte e coraggioso quando diventa Parzival, l’avatar che utilizza nel mondo virtuale di OASIS. Tutta l’umanità fugge dal reale e si fionda in questo gioco fatto di azione e avventura, in cui l’obiettivo principale è trovare l’Easter Egg. Il demiurgo di OASIS, il geniale ed einsteiniano James Halliday, prima di morire ha stabilito che solo chi vincerà una competizione, distillata di quesiti e prove coraggiose da lui architettate, potrà ereditare il mondo e le fortune di OASIS. Nella sfida, strutturata in tre fasi, si fionda la multinazionale senza scrupoli IOI, decisa a conquistare il premio finale per ottenere il controllo esclusivo di OASIS e lobotomizzare così l’intera umanità. Questo piano diabolico avrà come avversari appassionati Wade e i suoi amici, Gli Altissimi Cinque.
Il film, contraendo di molto l’orizzontalità del libro, presenta diversi livelli di lettura interessanti. C’è un primo livello di entertainment puro, in cui gli effetti visivi della ILM e della Digital Domain, fanno viaggiare lo spettatore nel mondo fantastico di Oasis, in cui la sfida manichea tra bene e male è sostenuta da un topos spielberghiano, di fatto il giovane eroe che affronta il proprio viaggio di formazione contrastando la minaccia, il cattivo (qui rappresentato dalle intenzioni della IOI). Questa lotta diventa pretesto per entrare nel secondo livello, la decodificazione di un “mondo altro” che metaforizza le attuali condizioni dell’individuo contemporaneo. Tutti i personaggi del film vivono come estrema necessità la risoluzione del gioco, come cifra unica per il proprio posto nella società. Wade/Parzival per scoprire la sua natura, per risultare saldo e intatto al termine della pellicola, ha bisogno a tutti i costi di OASIS, di un videogioco virtuale. Infine il terzo livello affronta il tema della pellicola come documento storico: sin da The Jaws, passando per Jurassik Park e Indiana Jones e via discorrendo, l’opera di Spielberg ha saputo raccontare le paure dell’uomo moderno, spesso “ragazzo moderno”, immergendo l’occhio dello spettatore in un mondo tecnologico, sognante e realistico al tempo stesso. Anche in questo caso lo schema è lo stesso, con un DNA citazionistico, in gioco tra storia del cinema e cultura pop anni Ottanta, che diventa vera e propria esegesi visiva del corpus di opere di Spielberg.
Cos’è il cinema se non una macchina del tempo, una DeLorean che sfrutta le immagini in movimento per portarci, con le sue figure, nel vortice della lanterna magica? Non importa se la riflessione del regista sia strumentale al primo livello viceversa quanta capacità di storytelling, equilibrio ci sia tra tutte le stratificazioni. Un film di qualità, trasversale e da consumo, nostalgico e in continua tensione verso ciò che forse ci attende.