In questo terzo capitolo la riconfigurazione è netta e sostanziale: lo è spazialmente, con i luoghi classici che cedono il posto a nuovi scenari; lo è nell’arco narrativo dei protagonisti, con traumi che hanno condizionato in passato e avviluppano le singole traiettorie nel presente; lo è nel nuovo modo di “osservare” la Camorra, di fatto non più ascesa del potere viceversa frana nel baratro del torbido. Il modello estetico mantiene alta la posta, forte delle altre due stagioni, tuttavia si sente la mancanza di alcuni registri attoriali mentre i continui intrecci non sempre palesano motivazioni corrette.
La morte di Don Pietro Savastano, tradito dal figlio Genny e ucciso da Ciruzzo l’Immortale, ha creato un buco enorme nel Sistema e nuove figure sono pronte a spartirsi l’enorme fetta del mercato criminale. Passato un anno i due milionari sembrerebbero aver preso il comando dell’Impero, con Genny forte del suo legame con Azzurra e il piccolo Pietro, e con Ciro devastato dai sensi di colpa ma pronto a far crescere sotto la sua ala protettiva un nuovo criminale, Enzo detto “Sangue Blu”. Tutto però sembra muoversi vorticosamente, da qui la presenza dei Confederati (con un leader di “cutoliana” memoria), che controllano le maggiori piazze di spaccio di Napoli, e la possibile, ambigua alleanza tra Patrizia e Scianel.
Il mondo di Gomorra sembrerebbe aver abbandonato per sempre le Vele di Scampia per concentrarsi su nuovi mondi, nuovi scenari che metaforizzano le pulsioni dei personaggi. In tutto ciò Ciro si mostra come esempio fulgido, classico eroe tragico che, dopo aver toccato il fondo, ritorna verso i suoi fantasmi per dominarli e condizionarli. L’iconografia e l’estetica della serie, grazie alla regia di Cupellini e della Comencini, mantengono il grande lavoro sull’immagine creato, strutturato da Sollima, da qui una fotografia scura, un quadro continuamente perimetrato da luci, tagli d’inquadratura e strappi continui della m.d.p.. La disintegrazione dei vecchi modelli, rappresentati da Don Pietro Savastano, porta tuttavia alcune difficoltà a questo terzo capitolo. Da un lato, sul versante attoriale, manca il talento e la presenza scenica di Fortunato Cerlino, dall’altro lato la scrittura non sempre giustifica o approfondisce le tante traiettorie narrative.
Siamo testimoni di un terzo passaggio che, muovendosi su un terreno minato, riesce a mantenere, a volte anche superare, la costruzione del quadro tipica di Gomorra perdendo in profondità sul versante della costruzione dei vari personaggi. Speculare a questa perdita, c’è anche l’enorme riduzione del simulacro sacro che, da protagonista indiscusso nel passato, qui diventa esclusivamente contorno, cornice che commenta e non significa