Lo abbiamo conosciuto per tanti anni, precisamente dal 2004 al 2012, e ci ha fatto compagnia per lunghe serate passate con amici o in solitudine. Burbero, sfrontato, prepotente, rigoroso, a volte, molto spesso a dir la verità, cinico e sempre punto di riferimento del suo team, House, nella serie televisiva omonima, è stato un concentrato di genio e sregolatezza all’interno di un medical drama.
È questo il personaggio che ha consegnato il successo all’attore e scrittore britannico Hugh Laurie, un vero e proprio outsider del jet set cinematografico capace di dichiarare più volte la sua tendenza a soffrire di depressione e allergico molto spesso al “patinato” e al “glamour” insito nel mondo della lanterna magica. House è un concentrato di intuizione e decisione, una continua giostra tra la decisione e la soluzione, tra domanda e processo per arrivare, in chiave epistemologica, alla risposta. E se nel mondo attoriale di Laurie la reale continuazione di House fosse il diavolo Mefisto?
Nella sua ultima, brillante performance Laurie interpreta il filantropo Richard Roper, di fatto un criminale che gestisce un enorme traffico di armi su acque internazionali. La miniserie, dal titolo The night manager, prodotta dalla BBC, prende ispirazione dall’omonimo romanzo di John Le Carré e ci racconta la missione segreta, da infiltrato, dell’ex soldato dell’esercito britannico Jonathan Pine, riciclatosi direttore d’albergo dopo la guerra in Iraq e assoldato dall’intelligence di Londra per smascherare Roper.
L’opera, diretta dal premio Oscar Susanne Bier, è un concentrato di suspense in gioco tra thriller e noir. I ritmi sono lenti, il montaggio rigoroso e dal ritmo costante, in un continuo gioco di location patinate tra Londra, Spagna e Medioriente. I poli attoriali sono ovviamente Pine, interpretato da un bizantino e glaciale Tim Hiddleston, e Roper. Tra compravendite, indagini, intrighi e continue tattiche spicca inoltre la bellezza del personaggio di Jed, interpretato da un’hitchcockiana Elizabeth Debicki, che recuperare il background della femme fatale tipica del noir classico sovraccaricando il tutto con una fisicità moderna, da olimpionica di nuoto.
In questo terreno si consuma la prosecuzione di un Laurie/House che dismette i panni del medico, fa fuori il trauma fisico alla James Stewart di La finestra sul cortile e, facendo tesoro del suo mondo, si ricicla in una veste mefistofelica, di fatto un diavolo che coordina grandi capitali, risulta sempre agitato dal doppiogioco e muove le sue pedine in un enorme scacchiere. Da House il Mefisto Roper eredita la secchezza del dialogo, lo sguardo concentrato e lineare, che punta continuamente l’interlocutore e lo spettatore. Come House, in ogni episodio deve fare i conti con un paziente trovando diagnosi, prognosi e cura, così Roper deve allevare, controllare ed eventualmente distruggere il vero protagonista, Pine. Anche in The night manager, diventa poi essenziale lo spazio, che non è più quello dell’ospedale viceversa della villa a Mallorca o della base militare in Medioriente, in cui si muove un uomo gestito da una regia raffinata, che dosa dettagli e totali con movimenti di macchina eleganti, ritmati e che diventano ossimoro di ciò che si sta narrando.
In questo Laurie dimostra un enorme talento, una capacità di riciclarsi mantenendo la grammatica del proprio stile. Le sue qualità espressive, i segmenti di silenzio e di parole recitate che affettano la messinscena ci consegnano un attore ormai maturo e consapevole, un attore che rischia e che ritorna sul trono questa volta senza bastone, viceversa padrone faustiano del nostro sguardo.