Un tuffo nella memoria, come quando i nonni o i genitori chiamano in disparte, in un angolo, per mostrare una foto d’epoca con i bordi ingialliti e il profumo richiamante l’antico. La barra tematica è la scuola, precisamente lo sforzo che i piccoli studentelli italiani e l’Istituzione scolastica in generale hanno dovuto sostenere per riconoscere nella lingua ufficiale un elemento di condivisione e di forza per superare differenze culturali e geografiche.
Il linguaggio di questo documentario non sfrutta soluzioni originali e la modalità di racconto è quella classica, con un versante didascalico e una serie di documenti visivi, vere e proprie immagini di repertorio, che ci riportano alla struttura del documentario Comizi d’Amore di Pier Paolo Pasolini. Proprio il poeta e regista friulano fa capolino in una sequenza raccontando il metodo didattico di Don Milani. Il prima e il dopo è una testimonianza che parte dall’educazione dei piccoli Balilla del regime fascista arrivando fino agli anni Sessanta. Incontriamo piccoli ragazzi sardi, napoletani, veneti, laziali alle prese con i compiti a casa o contenti per la fine dell’anno scolastico; partecipiamo ai corsi serali dei contadini del sud Italia che dopo il pomeriggio di mietitura condensano la loro attenzione, con gli occhi stanchi e le spalle pesanti, sui libri per imparare a evitare future x sui documenti. Il ritmo è stabile e non c’è una drammaturgia nella concatenazione di eventi viceversa un montaggio alternato che vorrebbe essere poetico e didascalico.
L’operazione potrebbe funzionare, a volte viene da intenerirsi nel guardare piccoli ragazzi di vita che si raccontano abbassando lo sguardo dinanzi alla cinepresa; tuttavia nonostante il versante della memoria storica e il bianco e nero emozionante, il documentario non riesce a trovare la forza per farsi realmente fonte arricchente. Si ha come l’impressione di recuperare situazioni, atmosfere già viste e filtrate in una configurazione un po’ confusionaria e superficiale.
È ormai da tempo che Amelio, qui in tandem con Cecilia Pagliarani, non riesce più ad esprimere la forte autorialità che ha caratterizzato una buona fetta della sua cinematografia. Non basta appoggiarsi al registro poetico e a un tema interessante per far riflettere, crescere lo spettatore. E se il tutto viceversa deve avere un versante prettamente didattico e informativo, allora l’organizzazione e una linea d’impostazione rigorosa dovrebbe avere la meglio.