In questo film ritengo molto importante affermare il diritto di ogni persona alla propria fede. Ma ciò non dovrebbe rendere ciechi di fronte ai crimini commessi da uomini che si sono macchiati di ciò che la polizia chiama “corruzione di una nobile causa”. Poiché ci si aspetta che siano santi allora non possono fare nulla di male. Parte da questo cortocircuito ontologico il racconto del regista premio Oscar Alex Gibney che, con il suo Mea Maxima Culpa, denuncia e ci mostra lo scandalo dei preti pedofili.
Può un prete, strumento di Dio e seguace di Gesù Cristo morto sulla croce, macchiarsi di perversione sessuale, sociale e di potere? Può un pastore di genti farsi fagocitare dall’ombra e comparire sotto le lenzuola di innocenti studenti per masturbarli e abusare di loro? Quali sono i sistemi di potere, all’interno del Vaticano, che insabbiano gli abusi sui minori?
La prima parte di documentario, caratterizzata da inserti di pura fiction per creare suspence, si concentra sulla mostruosa parabola di Padre Lawrence Murphy di Milwaukee, macchiatosi di numerosi abusi sessuali nell’Istituto per non udenti S. John sin dagli anni Cinquanta. Gibney intervista quattro vittime del mostro, coloro i quali saranno gli ambasciatori visivi delle restanti due ore di documentario. Mediante la loro esperienza Gibney, partendo dal caso Murphy, traccia una linea critica atta a individuare nel clero cattolico, e nelle più alte sfere della Curia Romana, i responsabili che proteggono, difendono e producono inevitabilmente i molestatori.
La parte centrale, che non offre nuovi spunti di linguaggio, porta in giro per il mondo lo spettatore e si scoprono via via altri casi di preti pedofili. Viene raccontato del sacerdote cantore Tony Walsh, macchiatosi in Irlanda di numerose violenze sui minori sin dal suo primo anno di ordinazione a sacerdote e poi condannato dal governo irlandese nel 1995, e del pastore Marcial Maciel Degolado, fondatore dei Legionari di Cristo, violentatore di molti suoi seminaristi e losco affarista stimato da Papa Wojtyla per il grande consenso tra i fedeli e protetto dal Cardinale Angelo Sodano.
Mantenendo il filo d’oro con i fatti di Milwaukee, mediante la storia dei quattro sordomuti che ancora combattono per far conoscere la verità fuori dalle mura leonine, ecco che la buona mezz’ora finale punta dritto il dito accusatorio contro il Vaticano. A racchiudere questa significazione finale, vero punto di vista del regista riguardo alle responsabilità della Chiesa cattolica, è la figura di Joseph Ratzinger, che dal 2005, in veste di Prefetto della Congregazione della Dottrina, sarebbe stata la persona più informata sui preti pedofili e quindi primo responsabile per l’omertà profusa.
In questo finale il documentario, partito in modo rigoroso e con tutte le buone intenzioni, presta tuttavia il fianco non rinnovandosi nel ritmo e nelle risposte, ma presentando un continuo riflettere sulle responsabilità di Ratzinger, che diviene il classico primo imputato, “colui che sapeva e ha taciuto”, e, francamente, in un terreno così delicato, ci saremmo aspettati maggior coraggio nel ricercare una soluzione ad un problema che affligge la Chiesa, forse, già da molti secoli.
Resta il grande lavoro del regista nell’offrire le chiavi allo spettatore per immergersi nell’ombra più grande della Chiesa cattolica moderna, partendo dalle vittime sordomute e dal loro linguaggio dei segni, che sembra voler graffiare e scuotere un sistema religioso arrivato a un bivio importante (Papa Francesco docet).